Lei non significa granché all’infuori di quel che tu rappresenti per lei. È solo un essere inferiore. E poi nessun uomo deve alcunché a una donna. La rovina del mondo deriva proprio da questo malinteso.
Queste le parole di Mirza Sha in Le rondini di Kabul. Ma Mohamed Moulessehoul – che scrive per motivi di censura sotto lo pseudonimo della moglie, Yasmina Khadra – sa che «la rovina del mondo» è la guerra. Ex militare dell’esercito algerino, testimone diretto della tremenda guerra civile che ha devastato per anni il suo Paese, lascia l’esercito nel 1999 e si trasferisce in Francia, facendosi conoscere in tutto il mondo come scrittore potente e poetico.
Questo Le rondini di Kabul, il primo romanzo suo che leggo, racconta la storia di due coppie. Quella di Atiq e Mussarat e quella di Mohsen e Zunaira. Atiq è un privilegiato, fa il carceriere, ma vede lapidazioni, torture e fucilazioni pubbliche quotidianamente, e non sa come fa a sopportarlo; Mohsen è un borghese decaduto, che ambiva a fare il diplomatico e invece fa la fame da quando una bomba ha distrutto la sua casa e insieme il suo futuro. Mussarat è una completa emarginata: donna e malata terminale. Zunaira, una donna splendida, sognava di fare il magistrato e invece è costretta a stare a casa o uscire col burqa, che lei vive come la massima carcerazione possibile. Sono tutti e quattro espressione di una città/galera, Kabul, ancor più triste in quanto meravigliosa e ancora memore dei suoi fasti. Una città che era un giardino e ora è uno sterrato punteggiato di morti e disperati. Chi è dentro vorrebbe essere fuori, e chi è fuori vorrebbe scappare ancora più lontano, come Zamish, che sogna colline e l’oceano.
Ho voglia di sentire una canzone. Non immagini quanto. Una canzone con accompagnamento musicale e una voce che ti scuota dalla testa ai piedi. Pensi che un giorno, o una sera, potremo accendere la radio e ascoltare le orchestre fondersi insieme fino a svenire?
La vita quotidiana a Kabul è fatta di enormi contrasti, di esami di coscienza impossibili, di uomini e donne che vivono con la costante paura di morire, di ribellioni sopite sul nascere, indottrinamenti coatti, di desideri irrealizzabili. Anche solo una passeggiata può diventare una tortura, una lama che entra sotto la pelle e scava nelle viscere fino a deflagrare in violenza. È quello che capita a Zunaira, che pur di difendere la propria libertà finirà col perderla definitivamente... È una vita di costante perdita e di poche felicità. L’amore stesso diventa perdita a Kabul. E tutti i personaggi della storia trovano e perdono l’amore, chi per morte chi per rifiuto... Resta la guerra, che non è come le rondini. Non migra mai.
Vivere è anzitutto tenersi pronti a che il cielo ti cada sulla testa.
La scrittura è molto bella, molto poetica, molto “mediorientale”. A tratti quasi fiabesca, soprattutto nel finale. Ha il sapore dell’esilio, però. È venata della malinconia e della benevolenza di chi vede le cose dall’esterno, pur conoscendole. Non c’è durezza, nemmeno quando vengono descritte le scene più cruente o cattive. Come se il velo della distanza facesse da filtro tra lo scrittore e il suo Paese ferito. e c’è amore. E speranza, chissà, un giorno di poter esistere come scrittore anche lì, nella sua terra a cui tutti gli esuli guardano con desiderio, anche quando la terra li ha respinti così crudamente. Un bel libro, che sa di dolore, ma anche di sollievo. A tratti.
Il libro è stato pubblicato nel 2002, poco dopo l’intervento americano in Afghanistan. Ai posteri l’ardua sentenza dopo la lettura ora, a 22 anni di distanza...
Le rondini di Kabul, di Yasmina Khadra, Sellerio, 2021 (2002), 228 pagine. Traduzione di Marco Bellini