È un omaggio questo romanzo, il primo di una lunga serie per Pierre Lamaitre che sembra quasi dire: «Grazie a tutti; grazie a James Ellroy, in primis, e a Bret Easton Ellis e a McIlvanney eccetera, siete stati preziosi; ora tocca a me». E come sappiamo, da questo Irène Lemaitre non si è più fermato, un thriller dopo l'altro, intervallando con romanzi di altro genere, tra cui il Premio Goncourt 2013, Ci rivediamo lassù (che conto di leggere in momenti più tranquilli per me, dato lo spessore e la densità del contenuto).
Della trama si può dire pochissimo, data la natura di questo thriller ad alto tasso di suspense: Camille Verhœven – commissario brillante il cui cervello compensa la statura di un metro e 45, sposato con Irène, in attesa del primo figlio –, viene chiamato sulla scena di un crimine «particolarmente efferato» a Courbevoie. Due ragazze sono state stuprate, torturate e uccise in modo atroce, molto “costruito”, come se più che una scena del crimine il delitto fosse una set, o un’istallazione. E infatti a breve si scopre che l’assassino – o gli assassini – ha seguito uno schema molto preciso...
Stampa, giudice e prefetto ostacolano Camille per quelle che vengono etichettate come idee strampalate, ma si scopre che alla fine aveva ragione su tutto, anche se, come spesso avviene, l’imprevisto arriva sempre da dove meno te lo aspetti... e le cose sono sempre più complicate di quello che sembrano.
La scrittura di Lemaitre è magistrale nel genere thriller, capace di tenere in tensione dalla prima all’ultima riga. L’escamotage letterario è furbo e geniale, anche se non posso svelarlo per non far crollare da subito il complesso castello di carte che l’autore costruisce e che si svela proprio solo all’ultimo...
Ora, ovviamente, non vedo l’ora di mettere le mani sul secondo, Alex, che ho già prenotato in biblioteca...
Voglio chiudere questo per forza di cose breve post con una citazione dal libro che credo apra anche una riflessione più ampia sul genere poliziesco e che mi vede molto d’accordo:
Il romanzo poliziesco è stato a lungo considerato un genere minore. C’è voluto oltre un secolo per vederlo figurare della “vera” letteratura. La sua lunga relegazione tra i ranghi della “paraletteratura” è dovuta all’idea che per molto tempo ha accompagnato i lettori, gli autori e gli editori riguardo al concetto di letterarietà e all’ampio uso culturale che ne deriva. È altresì opinione diffusa che sarebbe stata la sua stessa materie, il crimine, a penalizzarlo in tal senso. Questa falsa verità, vecchia come il genere stesso, sembra ignorare che intorno al crimine e all’inchiesta ruotano elementi classici, da Dostoevskij a Faulkner, dalla letteratura medievale a Mauriac. In letteratura, il crimine è antico quanto l’amore.
Ecco, appunto. Mai capito perché il genere debba essere legato al concetto di qualità. Un buon giallo, come questo – e come quelli di Ellroy, Chandler, Simenon, Christie, Deaver, Vargas, per non parlare di Capote con il suo capolavoro A sangue freddo... solo per citarne alcuni – è letteratura più di tante sbrodolate, anche melense a volte, che vengono annoverate tra l’alta letteratura. E poi: ma in che genere si può annoverare Delitto e castigo se non tra i gialli... Chapeau a Lemaitre, per i suoi libri e per il suo pensiero. E come in ogni buon libro, nessun buonismo...
Irène, di Pierre Lemaitre, Mondadori, ‘Strade blu’, 2015 (2010), 353 pagine. Traduzione di Stefania Ricciardi. Belli i ringraziamenti, che l’autore chiama «Debiti contratti» e che spiegano un bel po’ delle scelte narrative di Lemaitre.