In teatro è risaputo, la seconda replica è sempre la peggiore. Caduta l'adrenalina del debutto, rilassati dalla consapevolezza che lo spettacolo gira soprattutto se è un successo, alla seconda si fanno sentire la stanchezza e la voglia di cazzeggio. Penso che sia così anche per la letteratura. Soprattutto se con il primo romanzo hai vinto un premio importante e sei giovane. Per questo avevo poche aspettative in questo secondo libro di Bernardo Zannoni, 25. E un po' il mio pronostico si è avverato, anche se non me la sento di farlo a pezzi come altri hanno fatto.
Da bambino era tutto così facile: non esistevano filtri per il dolore, la paura, la gioia. Ti cadeva tutto addosso, ma faceva parte di un percorso necessario. Ora bisognava scegliere una strada, calcolare il tempo. Sbagliare aveva un costo, lasciava dei segni, ti esponeva ad altri rischi. [...] Si chiese se la sua età fosse uno scattare verso una nuova fase, un inevitabile giro di boa: a venticinque anni ti vedi per quello che sei e il mondo ti si presenta con il suo vero aspetto. È lì che si comincia a sperare. Si spera che vada tutto bene.
Diciamo che se fosse un libro di Marone direi che è un buon libro; essendo Zannoni, ed essendo I miei stupidi intenti (Premio Campiello 2022) uno dei libri migliori letti nel 2022, il livello era talmente alto che era difficile eguagliarlo. E infatti, 25 è un buon racconto, Gerolamo un personaggio ben costruito e molto coerente, come i personaggi di contorno - la zia Clotilde, Amon, Tommy, Martin, Betta, Beirut -, la storia dolorosa al punto giusto e sarcastica pure. In una cosa Zannoni è bravissimo: far capire chiaramente dove vuole andare a parare, di cosa vuole parlare, qual è, insomma, la morale della favola. In questo caso, la difficoltà estrema di un venticinquenne abbandonato da entrambi i genitori a crescere, a rendersi conto che il mondo va affrontato, con le sue bellezze e i suoi orrori e che fare finta di niente non serve a nulla e a nessuno. Le persone che volenti o nolenti ci lasciano, non ci lasciano soli, ma con noi stessi, e ci dobbiamo fidare di noi stessi e affrontare le nostre emozioni, siano esse brutte o belle.
«Si chiama punto di rottura», disse.
Gero corrugò la fronte.
«Cosè?».
«È quando non ti nascondi più. Adesso non senti niente, ma è tutto lì. Deve solo trovare il suo momento».
Forse è il trovare il proprio punto di rottura il primo gradino per salire la scala della propria crescita. Ed è il modo in cui lo affrontiamo che ci definisce. «Le scelte che facciamo», come dice Silente a Harry Potter. Quello che facciamo con i nostri amici, la nostra famiglia, le persone che incontriamo, buone o cattive che siano, le responsabilità che ci vengono affidate: tutto questo forma il nostro tessuto umano e quello che decidiamo di farci di volta in volta segna il nostro percorso, la strada su cui ci dobbiamo incamminare, anche se non ne abbiamo voglia, anche se proviamo a fermarci; ma non si può. La vita va percorsa, con noi stessi, nel mondo che ci è capitato.
A me è piaciuta questa difficilissima opera seconda. La scrittura di Zannoni è bella e profonda, ricca ma semplice, cristallina, piena. Certo, siamo lontani dal livello della faina Archie, ma aspetto fiduciosa il terzo romanzo, se ci sarà, con i tempi necessari. E questa volta, per la terza opera, mi aspetto qualcosa in più.
25, di Bernardo Zannoni, Sellerio, 2023, 183 pagine.