Amiamo leggere le avventure dei cavalieri perseguitati, esuli che tentano di tornare alle proprie dimore. Eppure, quando a farlo non è un paladino, ma una persona – una donna –, la tormentiamo. Julie d'Aubigny è stata una fuorilegge, è stata imprigionata, ma si è liberata ed è rientrata a Parigi. E qui ha deposto la spada per consacrarsi all'arte. L'avete vista tutti a teatro, l'avete sentita cantare. La sua voce è un miracolo. Non ne esiste un'altra uguale.
Alexandre Dumas si è reincarnato in una donna e si è intriso di scrittura contemporanea. Ida Amlesù, attraverso Julie, racconta una storia d'altri tempi con la penna affilata e poetica dei nostri giorni, scandagliando un tema antico ma tremendamente alla ribalta: l'appartenenza a un genere sessuale. Ma, seppur questo sia il tema per cui si parla molto di questo libro, non è quello che mi è interessato di più. Il travestitismo è infatti, qui, un mezzo, non un fine.
Esistono sei strade per la donna che voglia un posto nel mondo, nell'angolo di luce dove brillano gli uomini, anche mediocri, che nascono e spendono il loro denaro e conquistano le glorie in terra e poi muoiono, con la più grande semplicità e senza chiedere niente a nessuno. La prima è la ricchezza, che compra la libertà. La seconda, sposarsi. La terza è l'arte, la quarta diventare badessa. La quinta vivere nei piaceri sperando di non finire in rovina. La sesta la insegnò alla Francia una regina: con discrezione, uccidere.
Mi spiego. Julie d'Aubigny/Maupin è ingabbiata in una situazione che non vuole: amante di un uomo potente, moglie suo malgrado di un mediocre omuncolo che ovviamente non ama e figlia di un insegnante di spada, da cui apprende l'arte della battaglia all'arma bianca e del duello. Scappa, travestendosi da uomo, il che non è una scelta di genere, ma l'unico modo per raggiungere l'unica cosa che brama davvero: la libertà. Questo a mio parere è il vero cuore del discorso: la libertà è pienamente raggiungibile solo se si è maschi, e quindi, automaticamente, non costretti a sottostare a nessuno, a sposare nessuno, liberi di sguainare una spada, di cavalcare a gambe larghe, di bere nelle locande, di dormire sotto le stelle. E amare. Amare e basta, senza che questo diventi un contratto, un obbligo, un dovere. Julie, dopo essere stata appassionatamente innamorata del suo attuale carnefice, Louis d'Armagnac, dopo essere stata amante del suo compagno di fuga (traditore) Séranne, si innamora perdutamente di Madeleine, figlia di un mercante, e vive con lei – da donna – un'appassionata storia sentimentale. Sembrerebbe un grande scandalo, e in effetti lo è, ma non dimentichiamoci che quelli erano anni in cui il travestitismo era all'ordine del giorno, un divertimento, una burla, soprattutto a corte, dove re e cortigiani non nascondevano di avere amanti dello stesso sesso, che proteggevano e che diventavano a loro volta volti importanti della vita pubblica proprio in virtù di questo. E non facevano nulla per nasconderlo, anzi. Inoltre, re e regine usavano i palcoscenici e i sontuosi spettacoli a palazzo – nonché le famose feste in maschera – spesso proprio per poter dare sfogo alla voglia di travestirsi in pubblico. Un ruolo fondamentale, quindi, lo ricopriva il teatro, dove attori e attrici potevano diventare vere e proprie “star” (altro che divismo americano!), contribuendo alla vita sociale di Parigi e non solo, creando mode, forgiando opinioni. Ora, con la nostra prosopopea, ci sembra di inventare tutto: l'Lgbtq+, il gay pride, la provocazione sessuale... ma era già tutto lì, direi in tempi non sospetti (e naturalmente ancora prima), alla luce del sole, quando, forse, ci si faceva meno problemi e in un ambiente in cui il piacere era il fine ultimo della creazione...
E non a caso, dopo la strada, dove è spadaccina, ambiente naturale di Julie è proprio il teatro, dove può – e deve – essere donna, incantatrice della platea con la sua voce divina, capace di immedesimarsi nei suoi personaggi con tutta la potenza del proprio essere (si trovano qui anche le tracce del teatro di immedesimazione, ma non farò una disamina teatrale, che se no non finisco più).
È un uomo fragile. Lo è sempre stato. Gli artisti sono spesso così. Fragili, violenti, spaventati.
Insomma, per Julie diventare uomo non è una scelta sessuale, è una necessità. Uomo quando serve, donna quando serve. Tutto qui. Senza retropensieri ideologici, ma solo un obiettivo: essere libera. Di amare, di recitare, di camminare, di vivere... Tutto questo braccata dalle Guardie Reali sguinzagliate da d'Armagnac che la vuole riportare nel letto del marito (e nel suo).
Ma lei vivrà, verrà graziata (due volte), amerà uomini e donne (fino a Marie marchesa di Forensac, la più bella donna di Francia, che sarà sua fino alla fine), troverà la gloria della spada e quella del palcoscenico, verrà acclamata, sentirà gridare il suo nome, morirà libera...
Ma io ero la Maupin, risorta da un fiume, perseguitata da fantasmi, fantasma a mia volta. Nessuna ferita poteva infliggersi su carne morta.
Un personaggio straordinario, di enorme attualità, ma scritto con una grazia e una potenza che Dumas avrebbe amato molto. Una grande ricerca storica alla base, che ci catapulta in un'epoca speciale per la cultura (in quegli anni nasce l'Accademia Reale di Musica). Naturalmente le pagine in cui si parla di teatro e di come venivano gestite le questioni sceniche e attoriali sono quelle che mi hanno interessata, forse, di più. Trovare in un romanzo la storia, la cultura, i costumi di un'epoca, sono il vero valore aggiunto della letteratura. Attraverso le vicende della Maupin, scopriamo alcune delle dinamiche da cui proviene il teatro contemporaneo: il sistema dei protettori, delle prove, dei provini; l'anticamera del divismo; i rapporti tra teatranti e governanti; le idiosincrasie e le attrazioni fatali dei re per il palco e il pubblico...
Il libro è abitato da personaggi scritti da dio (passatemi il termine), sia storici che inventati per onor di narrazione: Garçon, Gabriel Thévenard, Maréchal, madame de Sancy (fantastica/o), Francine, Dumesny, Marthe Le Rochois...
Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che Julie è un personaggio storico, che ha ispirato – tra l'altro – il bellissimo romanzo Mademoiselle de Maupin di Théophile Gautier.
Note a margine: vorrei dedicare le note a margine alle citazioni culturali – tantissime – a cui l'autrice si è chiaramente ispirata. In primo luogo, a Shakespeare, maestro della “narrazione en travesti”: da Come vi piace, a La dodicesima notte; ma anche di Romeo e Giulietta c'è tantissimo, a partire dalla bellissima scena in cui Julie raggiunge Madeleine dalla finestra della camera a quando aspettano insieme il mattino che porterà alla separazione. E poi il Dumas de Il conte di Montecristo, non foss'altro per la prigione in cui viene rinchiusa Julie – lo Château d'If – e il modo in cui ne evade (usando il cadavere di un altro detenuto; abate Faria docet); ma anche il personaggio stesso di Julie ricorda l'«attendere e sperare» di dantésiana memoria. E poi su tutti, ancora, c'è Dumas, che trasuda da ogni pagina. Sicuramente c'è qualcun altro da ricordare, ma non è necessario. La buona letteratura entra sottopelle anche senza tante elucubrazioni.
Un bellissimo romanzo, scritto in modo splendido, interessante, completo, potentissimo, come la sua protagonista. Leggetelo, davvero; fatelo.
Julie, di Ida Amlesù, Sonzogno, 2022, 533 pagine. Da non perdere assolutamente la nota dell'autrice, in cui la Amlesù ci racconta come ha mescolato fatti realmente accaduti e fantasia, in un mix perfetto, da cui ha tratto questo grande libro. La bellissima copertina è di Giuseppe Quattrocchi.
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