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I miei stupidi intenti, di Bernardo Zannoni

I miei stupidi intenti, di Bernardo Zannoni

Canta solo di un animale e dei suoi stupidi intenti. - Solomon

Sempre curiosa di leggere novità e scrittori giovani, mi sono fatta tentare dall'ultimo Premio Campiello, I miei stupidi intenti, del venticinquenne Bernardo Zannoni, considerato un po' un fenomeno della letteratura contemporanea. Che dire? Premio meritatissimo, anche se forse chiamarlo "fenomeno" è un po' prematuro, di certo è sulla strada giusta per diventarlo. Il suo è infatti un libro intenso, profondo, curioso e molto maturo. E, incredibilmente per un ragazzo così giovane, molto elegante. 

I miei stupidi intenti è un diario, o meglio un libro di memorie, scritto da Archy, una faina che, perso il padre in una fredda notte d'inverno si trova a vivere con i fratelli e la madre violenta. Per una serie di vicende - tra cui l'amore per sua sorella Louise - Archy si ritrova a prestar servizio per la volpe usuraia Solomon, che lo prende sotto la sua ala e gli insegna a leggere e scrivere. Gli insegna che esiste Dio e che cos'è la morte, rendendo Archy sempre più consapevole del mondo che abita. Insieme a loro vive Gioele, un cane grosso e violento convinto di essere nato da un nido di vespe, fedele servitore e sicario di Solomon. E poi c'è Anja, la bellissima faina di cui si innamora perdutamente Archy e che conquisterà a rischio della vita. E l'istrice Klaus che gli darà una casa in cui finire i suoi giorni. E le linci e le galline e i maiali. 

Sono animali “straordinari” quelli a cui dà vita Zannoni, che usano letti, stoviglie, piatti; che parlano, ridono e piangono - soprattutto piangono. Al di là delle sue avventure, che lo portano lontano dalla propria casa e che lo rendono una creatura in grado di leggere e scrivere e lasciare le sue memorie, Archy acquista consapevolezza, conoscenza del mondo e dei suoi meccanismi, e soprattutto della morte, che impara a temere e, per contrappasso, della vita, che impara ad amare e rispettare. La sua e quella altrui. Benedice e maledice Dio per quello che fa alle creature; benedice e maledice la sua conoscenza, perché lo rende diverso e non più ignaro di ciò che prima o poi accadrà, inevitabilmente; meno preda dell'istinto animale e più propenso al ragionamento e alla prudenza. Ma soprattutto, lo porta a desiderare di lasciare un segno di sé, una traccia, a non essere dimenticato. Un desiderio prettamente umano, che lo spinge, appunto a ritirarsi in se stesso, abbandonando in pratica la sua “vita terrena” e a scrivere le sue memorie (mi ha ricordato, in un lampo un po' assurdo, il Bilbo de Il Signore degli Anelli).

Forse, come aveva scritto lui, davvero sono un uomo anch'io, e sarò salvato. Forse Dio mi ha reso un animale per mettermi alla prova. Credo a cose che in giovinezza trovavo assurde. Ma tornare un animale mi sconvolge, mi fa disperare. Non voglio scomparire, davvero, non voglio nemmeno pensarci.

È un libro triste, tristissimo; ci sono pagine crudeli e altre molto commoventi; si piange molto, ma si sorride anche dei parallelismi uomo-animale. Quanto poco diversi siamo, in fondo, no? La lotta per la sopravvivenza, per l'amore, per la libertà, per l'affermazione di sé; la lotta contro i nostri impulsi, le nostre pulsioni più violente e gli afflati più sentimentali. Il cercare di fare il bene e invece fare il male, il fare il male volutamente, il fare il bene perché non si può fare altrimenti e alla fine delle innumerevoli scelte, degli innumerevoli errori e degli innumerevoli successi... alla fine si muore. Tutti, sia stato fatto il bene supremo o il male più infimo. Si muore, uomini e animali. E di noi restano solo le "parole" e chi possiede la magia del decifrarle è per metà salvato e per metà dannato. 

Mi assolsi e feci pace con chi mi aveva ferito, perché al di fuori delle nostre teste, ogni dolore non ha peso, perché il male non esiste. Poi arrivarono loro...

La scrittura di Zannoni è coinvolgente, precisa, poetica ma secca, non ci si riesce a staccare. Si ama e si odia Archy e gli animali che incontra sul cammino e ci si chiede cosa ha senso, per chi, per quanto. Siamo tutte creature della Terra. Siamo tutte creature di Dio. Comunque lo si chiami, siamo tutte creature che tentano e che muoiono. 

Un premio meritatissimo, una lettura a tratti folgorante, profondamente commovente. Bellissimo.

Me la prendevo con Dio perché non potevo fare altrimenti. forse se non l'avessi conosciuto non mi sarei lamentato più di tanto, avrei accettato ogni cosa come veniva, da vero animale. Ma sapendo di chi era il mondo, ero costretto ad avere un nemico, mi veniva istintivo.

Note a margine: Per essere così giovane, Zannoni va in profondità all'essere umano, dove “essere” sta per “spirito” e affronta temi importanti e spinosi, parlando di Dio e di crudeltà di Dio. Parlando di animali e non di persone, si può prendere la libertà di parlare di Dio in un certo modo, senza il rischio di risultare blasfemo, ma con una purezza che solo chi è sciolto dalle convenzioni sociali può avere. Dando la capacità di avvalersi del libero arbitrio a una faina, abbatte i paletti che dividono il mondo umano da quello animale da quello divino, rendendoci un'immagine di Dio-uomo con tutti i suoi difetti e di animali-uomini che possono permettersi di maledire Dio, in quanto ancora distanti da lui, ancora “non direttamente coinvolti”, ancora bambini in cerca di risposte, e quindi innocenti. Un escamotage che rivela grande intelligenza e arguzia e che gli permette di restituirci una profondità di riflessione non comune e anche coraggiosa. Chapeaux e mille di questi libri, sa Dio se ne abbiamo bisogno.

I miei stupidi intenti, di Bernardo Zannoni, Sellerio, 2021, 243 pagine. Un plauso alla copertina: We need more weasel, di Marjolein Kramer 


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