Scrittrice versatile Elena Ferrante. Dopo aver amato moltissimo il ciclo dell'Amica geniale e mollato a metà, detestandolo, L'amore molesto, ho letto questo I giorni dell'abbandono senza aspettarmi nulla. E mi sono trovata a leggere un romanzo completamente diverso da entrambi gli altri due.
I giorni dell'abbandono sono quelli che si trova a vivere Olga, dopo che il marito Mario, da un giorno all'altro, se ne va, lasciando lei, i due bambini, Ilaria e Gianni, e il pastore tedesco Otto, per un'altra donna, Carla, molto più giovane di lui. Tutto qui. Quello di Olga è un flusso di coscienza – scritto in prima persona – che ripercorre azioni e pensieri di quel periodo difficilissimo come è quello che segue l'abbandono da parte di una persona amata. E che ti cambia. Olga si ritrova a provare cose che non pensava di poter provare, a fare cose che non pensava di poter fare – come la parentesi erotica con il vicino di casa, Carrano, che sarà poi un personaggio chiave nel suo "processo di guarigione". Perché di questo si tratta, la Ferrante lo rende molto chiaro. E come ogni malattia, percorre delle fasi: dal dolore, alla rabbia, al tentativo di distruggere se stessa e la sua famiglia, all'odio puro per tutto ciò che le ricorda Mario – gli oggetti, gli odori, le proprie sensazioni, fino ai propri figli e al proprio cane, fino a se stessa –, per poi risalire la china, guardarsi dall'esterno, farsi pena e ricomporre i cocci, per rivedersi bella allo specchio e negli occhi degli altri. È un romanzo che si divora, c'è moltissima azione nonostante l'immobilità percepita da Olga nei giorni che sembrano tutti uguali. Per lei il tempo scorre in modo sconnesso, la quotidianità diventa uno scoglio insormontabile, gli amici divengono nemici, il semplice vivere sembra essere impossibile.
Volevo la piatta certezza dei giorni normali, anche se sapevo fin troppo bene che nel corpo durava un movimento frenetico verso l'alto, un guizzo, come se avessi visto in fondo a una buca un brutto insetto velenoso e ogni parte di me si stesse ancora ritraendo agitando le braccia, le mani, scalciando. Devo reimparare – mi dissi – il passo tranquillo di chi crede di sapere dove sta andando e perché.
Poi, piano piano, complice una giornata in cui tocca il fondo emotivo e fisico, la luce torna, lei prende consapevolezza, un evento traumatico – di cui ovviamente non dirò – diventa simulacro della sua situazione e deve essere sepolto, con l'aiuto di una persona che sarà pietra tombale su quell'orribile periodo. E allora anche l'amore per Mario e quello per i figli riprendono il posto che compete loro e tutto torna nitido.
La scrittura della Ferrante segue perfettamente lo stato d'animo di Olga, aderendo ai suoi picchi di alti e bassi: cruda e sboccata per la rabbia (mi sono piaciute molto l'uso del linguaggio scurrile che sembra così fuori luogo e che invece rappresenta tutta l'umanità del personaggio che acquista così un'eccezionale verità); introspettiva davanti a uno specchio o a un ricordo; morbida e dolce nel ritrovato affetto con i figli.
Se fossi partita da lì, da quelle mie emozioni segrete, forse avrei capito meglio perché lui se n'era andato e perché io, che al disordine occasionale del sangue avevo sempre opposto la stabilità del nostro ordine di affetti, ora provavo così violentemente il rammarico della perdita, un dolore intollerabile, l'ansia di precipitare fuori dalla tessitura di certezze e dover reimparare la vita senza la sicurezza di saperlo fare.
E non fa sconti, in primis, alla stessa Olga, che risulta spesso cattiva, iraconda, ingrata, una pessima madre, una pessima padrona, una "pazza" che compie gesti insensati rendendosene conto ma godendo nel farli. Perché il dolore acceca, rende fragili e quindi feroci, crea cloni di noi stessi mossi da intenzioni che non sono le nostre, come un replicante che si impossessa del nostro corpo e andandosene ci lascia svuotati e tristi. La forza di espellerlo è la grande fatica, la riconquista della propria vita, il grande premio.
Molto bello.
Note a margine: Per fortuna non ho mai passato quello che ha passato Olga come moglie, ma nei miei ricordi infantili c'è questa esperienza che ho fatto come figlia. Penso sia un libro molto empatico, che potrebbe urtare, anzi che sicuramente urta, ma che va a fondo delle cose e non lascia il dolore come un patinato sentimento di cui scrivere in modo poetico, anzi, lo rende carne e sangue, deperibile, quindi passibile di lerciume, che tutto fa marcire intorno a sé. Ho amato le parti in cui Olga è feroce e ferina. Anche nella repulsione, soprattutto nella repulsione, perché nella repulsione si tocca la verità molto di più che nella dolcezza. Non sempre, ma in questo caso sì.
I giorni dell'abbandono, di Elena Ferrante, Edizioni e/o, 2015 [2002], 211 pagine.
Il gatto nella foto: questi piccoli multipli d'arte seguono i percorsi immaginati dall'autrice, Antonella Cicalò, ma possono interpretare anche il flusso dei pensieri del committente che darà così lo spunto per realizzare il suo personale “gatto maestro”, unico e irripetibile. Questi collages sono realizzati con frammenti di riviste letterarie e da collezione, stagnola, legno da recupero e componenti industriali del pet food. Ogni pezzo è unico. Per visitare il suo sito, qui !