Ho trovato per caso, tra altri libri, sistemando una casa per affittarla, La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig. Incuriosita, non conoscendo l’autore né il titolo mi sono informata, scoprendo che è considerato un capolavoro nel suo genere. Beh, lo confermo. L’ho letto in un giorno, senza riuscire a staccarmene. Non amo etichettare i libri per genere, ma se dovessi farlo per questo, onestamente non saprei dove collocarlo. Inizia come un giallo, con la morte di un uomo d’affari e scacchista, Dieter Frisch, che viene catalogata come suicidio. Ma sul cui corpo viene ritrovata una scacchiera di stoffa, cosa che fa pensare invece più a un’esecuzione. Con un flashback del giorno prima della morte, ritroviamo Frisch in treno impegnato in una partita a scacchi con un collega. A un certo punto nello scompartimento entra un uomo, Hans Mayer, che comincia a raccontare una storia sul suo maestro-mentore-padre adottivo, Tabori, ex detenuto del lager di Berger Belsen che si scoprirà avere una stretta correlazione con Frisch. Gli scacchi, filo conduttore di tutto il racconto, acquistano valore di agghiaccianti protagonisti in un gioco al massacro sulla scacchiera della Storia, quella della follia nazista e delle derive crudeli dell’animo umano.
Ma allorché vidi il plotone di esecuzione allinearsi su due file – la prima in ginocchio e quella dietro in piedi – ancora una volta pensai agli scacchi, alla posizione di inizio di una partita, allo schieramento avversario in procinto di fare la mossa d’apertura: quelli inginocchiati erano i pedoni e quelli in piedi le figure.
Le pagine sui campi di concentramento sono sublimi e coraggiose, e svelano sentimenti che raramente affiorano nelle pagine sull’Olocausto, di cui è pure piena la letteratura: la devozione e l’ammirazione per i propri aguzzini da parte dei prigionieri. Agghiacciante? Indubbiamente. Umano? Sì, profondamente. Coraggioso? Molto. La variante di Lüneburg è un libro che costringe i propri personaggi a mettersi davanti all’orrore e, accettandolo, superarlo. Anche se, si sa, certe ferite rimangono per sempre, per sempre sanguinano e guariscono solo con la morte.
Dopo un inizio “classicamente” in terza persona, in cui vengono raccontati i fatti, la narrazione si sposta in prima persona, facendo parlare Meyer e Tabori e lasciando che fluisca nei ricordi dei personaggi stessi, andando così a fondo della loro anima e svelandone i più reconditi e intimi segreti e pensieri. Ma la cosa che mi ha colpita di più in assoluto è lo stile di scrittura: se avessi letto il libro ignorando completamente età e provenienza dell’autore (il libro è del 1993 e l’autore è friulano), avrei detto che era uno straniero di inizi Novecento. Ho pensato a Maugham o a Cronin o addirittura, in certe parti a Tolstoj (forse, per la narrazione che si svolge su un treno la mente mi ha rimandata a Sonata a Kreutzer). È uno stile asciutto ma molto evocativo, di atmosfera novecentesca, una scrittura difficile da trovare oggi, antiquata, di quell’antiquato bello, che sa parlare dell’animo umano con semplicità, raffinatezza e la giusta dose di crudeltà.
Per me, un piccolo capolavoro. Da leggere con consapevolezza che arriverà una mazzata, perché ci si parerà davanti tutto l’orrore di cui l’umanità è capace. E possiamo usare qualsiasi variante ma la mossa sulla grande scacchiera della Storia è stata fatta e il pezzo non si può ritirare. Alla fine non importa più di tanto della morte di Frisch; davanti all’orrore della morte di migliaia di persone, che sarà mai la morte di un uomo solo? È soltanto un’altra vittima della Storia che si vendica di se stessa.
Influssi, rimandi, suggestioni: ovviamente non si può non andare col pensiero a Il settimo sigillo, splendido film di Bergman che racconta di una partita a scacchi con la morte. Ma anche i libri sull’Olocausto vengono potenti alla mente: Primo Levi, Elie Wiesel, Anna Frank, Irène Némirovsky e altri.
Note a margine: Questo è un libro che è tutto una nota a margine. Gli scacchi come metafora del grande gioco dell’umanità contro le forze del Male, la Morte, il dolore, il dubbio, la crudeltà. La grande metafora del gioco, inteso come vita umana, svuotata del suo significato profondo che si risolve nella posta da un pfennig. Vorrei riportare una frase che penso riassuma questa grande metafora:
Guidate da una loro fredda logica, le figure bianche si incuneavano tra quelle nere, le forze contrarie si equilibravano, e da lontano, da molto lontano, si profilava a tratti, come il lampeggiare di un faro la soluzione finale.
La soluzione finale di una partita a scacchi che diventa l’orrore e la terribile portata storica della soluzione finale hitleriana. Una soluzione finale che solo una variante veramente efficace può sventare. Forse la variante di Lüneburg è stata, sulla scacchiera del mondo, la mossa che ha deciso la partita. Per fortuna, questa volta, con la vittoria del “bene”.
La variante di Lüneburg, di Paolo Maurensig, Adelphi, 1993, 158 pagine.