Non so bene come affrontare un commento di Il peso di Liz Moore perché è un libro che mi ha veramente smossa. Capita raramente. Quindi non so bene come riuscirà questa riflessione. Parto dall’inizio. Sono rimasta molto colpita da Il dio dei boschi – per la sua leggibilità incredibile, per il finale, per la precisione nel disegnare i personaggi –, e più di una persona che conosce bene Liz Moore mi ha detto essere il meno bello. «Leggi Il peso !». E chi sono io per non seguire un consiglio letterario? Che bel consiglio! Che bel libro! Completamente diverso da quello che mi aspettavo, scritto in modo splendido, una storia strana e affascinante. La caratteristica di Moore è che non si riesce a smettere di leggere. I suoi libri sono gorghi che risucchiano. Questa è una storia di solitudine , indubbiamente. Il tema è chiarissimo, la domanda pure: due solitudini ne fanno una grande, sopportabile, o restano separate, ognuna isolata nella propria «bolla di incomunicabilità»,...
Quando vengo presentata, il mio nome è troppo spesso FRIEDA HUGHES-FIGLIA-DI-TEDHUGHES-E-SYLVIAPLATH. È una frase lunga da pronunciare ma in qualche modo le persone riescono a tirarla fuori tutta d'un fiato. Nel momento in cui queste informazioni vengono fornite a titolo di presentazione stroncano ogni possibile conversazione. [...] Mi chiesi perché non potesse limitarsi a dire: «Lei è Frieda Hughes». Cosa c'era di sbagliato in questo? Oppure: «Vi presento Frieda Hughes. È una pittrice e una poetessa». Dev’essere veramente frustrante essere identificata sempre come «la figlia di» cotanti genitori, come se la presenza in certi luoghi o anche la propria stessa esistenza sociale dipendesse solo da questo. Del resto, lo ammetto, anche io ho regalato questo libro al mio compagno anche e soprattutto perché lei è la figlia di Sylvia Plath. Forse l’avrei preso lo stesso, ma probabilmente con meno aspettative. Il pensiero è stato: «Come può essere che una donna che ha alle spalle così ...